intervista a MULUNI – L’indipendenza indubbiamente non paga da nessuna parte. Sono perciò contento di far parte della schiera di persone comuni che continuano a produrre beni materiali o meno apparentemente privi di qualsiasi utilità sociale

– Ciao MULUNI noi ci conosciamo chi legge no, presentati… chi sei? parlaci di te in generale… vai a ruota libera…

Ciao Tab_ innanzitutto grazie per l’attenzione, è un vero piacere rispondere alle domande di Acquanonpotabile!

Il mio nome all’anagrafe è Gabriele, anche se molti mi conoscono come Muluni: quello che dalle mie parti si definisce “peccu” oppure “‘nciuria”, ovvero un soprannome scherzoso che può arrivare a sostituire quasi completamente il nome di battesimo e che mi sono ritrovato bello e impiattato quando ricercavo un nome d’arte. Sono nato a Catania nel 1989, dove ho piacevolmente perso la gran parte dei miei anni. 

Mi ritengo un appassionato di musica ma anche di arte visiva (forse è per questo che ho ricevuto più complimenti per la copertina dell’ultimo disco finora che per le canzoni!) e il mio più grande sogno sarebbe l’istituzione di un reddito universale per i consumatori culturali abituali, in modo da abbandonare il lavoro salariato e dedicarmi a tempo pieno alle mie passioni. Ma a quanto pare siamo ancora ben lungi da questi propositi!

In ogni caso ho un debole per tutto ciò che è oscuro, bizzarro e talvolta un po’ naïf. Per le arti “minori”, le espressioni culturali popolari e quelle indigene. Mi piace il mare e la letteratura d’avventura. 

– E’ uscito il tuo nuovo disco parlacene, come è nato ecc ecc? Di cosa parla? Dove si può ascoltare/scaricare.. comprare fisicamente ecc ecc

La gestazione di questo disco è avvenuta nell’ultimo rocambolesco paio d’anni, dove ho affrontato ben tre trasferimenti. 

A qualche canzone stavo già lavorando dopo il primo EP (“Mi vida es un pollo fritto”- Golden Catrame), e dunque risente di

quello stile un po’ scanzonato e anti-romantico già presente nel precedente lavoro. 

Altre invece sono nate durante il periodo delle restrizioni e delle ‘zone colorate’. Sono canzoni più introspettive, evocative e forse anche un po’ malinconiche, in bilico tra cupezza e voglia di evasione. 

Un discorso a parte merita “Iachinu ‘e tri canceddi”: uno storytelling in siciliano che narra la storia tragicomica di questo Iachinu (Gioacchino) che dopo una vita di stenti non trova pace nemmeno da morto, in quanto lo dimenticano in un angolo dell’obitorio. Anche se si stratta di un personaggio d’invenzione ho preso spunto da storie che potrebbero benissimo essere vere e che ho avuto modo di conoscere per le strade e i quartieri della mia città (ma ormai non solo).

Durante le vacanze scendevo in Sicilia per registrare le chitarre da Luciano, mio socio nel progetto hip-hop goliardico Uomini di lago. Ma nel frattempo avevo anche iniziato a smanettare un po’ con il computer e garageband, perché non sempre avevo con me la chitarra o il basso durante l’anno. Ho iniziato dunque a prenderci gusto e ad arrangiare le canzoni per la prima volta completamente da solo, ottenendo uno stile più sperimentale, legato all’improvvisazione e al gioco. Non ho avuto particolari velleità tecniche nel farlo ma la sola urgenza espressiva di far uscire questi brani in un momento in cui mi trovavo lontano dai soliti amici e da casa. 

Una volta ultimato il tutto ho fatto ascoltare le canzoni a Tommaso di Musichette Records, che non ha esitato a farle uscire così, grezze e Lo-Fi come gliele avevo presentate. Potete dunque ascoltare “Il secondo tragico Muluni” nel profilo bandcamp della suddetta etichetta (dove chi ha letto una tua recente intervista saprà bene quanta bella musica ci sia) e si può scaricare attraverso una semplice offerta libera. 

Per le copie fisiche mi sto attrezzando in vista dei prossimi concerti e per spedirle tramite posta a feticisti e collezionisti.

– So che hai suonato in molti gruppi e poi è nato il tuo progetto solista, Come nasce MULUNI solista, la passione per la musica, le band… le differenze tra suonare in gruppo o da solo? Fatti le domande che vuoi sulla musica e raccontacele….

Ho iniziato a suonare il basso a 14 anni e da allora la mia scuola è stata la sala prove. C’è stato un periodo in cui avevo almeno 5-6 band attive e stavo tantissime ore la settimana rintanato con amici in luoghi poco salubri a picchiare gli strumenti e a scrivere pezzi tutti nostri. La prima band degna di nota sono sicuramente i Bad Lights, un power trio garage-punk di cui purtroppo non esiste molto materiale in giro ma grazie al quale ho imparato cosa sia l’affiatamento e l’amicizia di una vera rock’n’roll band! Poi sono venuti i Bestiame, gruppo synth-post-punk col quale abbiamo sfornato due dischi di cui vado molto fiero e col quale cerchiamo ancora oggi di suonare il più possibile, nonostante le distanze. Dai Bestiame in poi un susseguirsi di progetti più o meno stabili (con Enrico dei Bestiame abbiamo fondato i Gurkha, ho suonato il basso nel progetto di Claudio Palumbo, ecc.)… Per me la musica è sempre stata un fatto sociale, una maniera di entrare in contatto con altre persone e passare assieme del tempo in maniera creativa. 

È normale che suonando così tanto si rientri spesso a casa con nuove suggestioni e idee. Così in maniera del tutto spontanea sono nate le mie prime canzoni da solista: pezzi in inglese alle quali alternavo chitarra e basso. Col tempo poi ho iniziato a misurarmi con l’italiano e da quel momento ho inciso le prime canzoni che ho avuto modo di presentare anche a Bruxelles, grazie agli amici

di NFO Radio.

Per chi come me è cresciuto a pane e band quella di suonare o di arrangiare un disco da solo è un’esperienza del tutto nuova, un po’ dettata dai tempi e dall’incalzare della vita adulta. È comunque un’occasione per conoscere meglio sé stessi e comprendere cosa si voglia fare davvero. Purtroppo viviamo in una società completamente atomizzata, dove l’arte non conta nulla (si è visto quanto sia facilmente sacrificabile all’altare del profitto negli ultimi anni). Rispetto ai miei miti d’infanzia credo che la stagione delle grandi band sia ufficialmente tramontata – tranne se si tratti di operazioni televisive o commerciali (la famosa Società dello spettacolo, la chiamava Guy Debord) e ciò è ancora più tangibile in un paese come l’Italia, soprattutto se si vuole fare un po’ di sana contro-cultura. In tempi come questi suonare da soli è molto più agevole e permette di non rimanere incagliati. La musica in ogni caso continua a rappresentare un importante veicolo di aggregazione e di unione tra le persone. Un’occasione per muoversi e incontrarsi. Uno dei pochi modi genuini che conosco per farlo.

– Tu sei di Catania e adesso vivi fuori per questioni di lavoro.. ci sta che prima o poi tornerai all’ovile… parlaci di Catania e dei posti dove hai vissuto al nord, delle differenze, delle connessioni..di quello che vuoi tu.

Sono molto legato alla mia città, appena adolescente mi sono guadagnato in famiglia l’appellativo di “peri longu” (piede lungo), ovvero di chi passa molto tempo fuori casa. Mi sono immerso nella realtà dei quartieri e ho sviluppato una passione per la storia di Catania, come un po’ di tutta la Sicilia. A parte il caso di Iachinu – dove è tutto abbastanza esplicito – anche in altri brani emergono tra le righe alcuni spaccati di vita, come ad esempio in Sirene, dove a un certo punto evoco una sfilza di personaggi e situazioni ispirate a quando abitavo nel quartiere della Fera ‘o Luni, il più grande mercato all’aperto di Catania, nonché suo cuore pulsante. 

Al tempo stesso però mi piace viaggiare e ho colto l’occasione del mio trasferimento per conoscere tanti posti nuovi, un po’ come se fossi in una lunga gita scolastica che mi sudo lavorando. Non so dire né quando e come tornerò, cerco di seguire il flusso anche perché ho capito che programmare troppo nella vita è inutile. C’è anche da dire che un tratto distintivo del catanese è quello di sapersi adattare ad altri contesti senza perdere la propria peculiarità, perciò non vivo conflittualmente il mio senso di appartenenza con il vivere da un’altra parte. 

Quello che continua a stupirmi della mia città è come emergano personalità e situazioni interessanti, nonostante decenni di subalternità a un sistema politico ed economico che la vuole completamente fuori dai giochi. Sarà la storia millenaria che abbiamo alle spalle, il magma che ci scorre sotto i piedi… non saprei! 

Fatto sta che un paio d’anni fa sbarco nella provincia settentrionale e scopro che la provincia non è più quel luogo raccontato da Bianciardi, antagonista alla città e alla sua economia schiacciante. Oggi il paese o la cittadina hanno completamente abdicato alla loro identità e rincorrono la grande città (aspirando al massimo a diventarne una periferia), non riuscendo ad essere alla fine della fiera né carne né pesce. 

Non ho trovato un ambiente fertile alle nuove collaborazioni neanche dopo la fine delle restrizioni, nonostante un tempo anche cittadine di medie e piccole dimensioni offrissero scene e realtà interessanti. Credo che oggi il trionfo dello stile di vita individualista/borghese sia più tangibile in certe parti che altrove e i luoghi piccoli ci abbiano un po’ rimesso. Perciò ho deciso di tornare in città e visto che mi trovavo già in Piemonte, di trasferirmi a Torino: un posto dove mi trovo abbastanza bene, per via del suo retaggio operaio e della sua storia d’immigrazione. 

La cosa buffa, dal punto di vista musicale, è che ho ritrovato delle dinamiche che mi stavano strette già a Catania, seppur con esiti diversissimi. Nella mia città infatti, dove ero abbastanza ri-conosciuto in determinati giri (non tanto per merito mio ma perché si è in pochi e uno che soffre di iperattività indubbiamente spicca) notavo come mi si offrisse spazio semplicemente per simpatia o amicizia, al di là dei contenuti proposti. E questo mi dava abbastanza fastidio. Dall’altro lato oggi a Torino, dove vado proponendo

iniziative culturalmente valide, non trovo molto riscontro proprio perché non appartengo a nessun giro, a nessun “clan” e a nessun gruppo d’interesse. L’indipendenza indubbiamente non paga da nessuna parte. 

C’è anche da dire che non ho avuto ancora modo, con tutti gli spostamenti che ho affrontato in questi anni, di coltivare relazioni stabili e durature. Le condizioni di precarietà nel mondo del lavoro, soprattutto per chi viaggia, si riflettono inevitabilmente in tutti gli aspetti della vita privata. 

I legami che invece ho avuto modo di intrecciare in giro per l’Italia grazie all’attività con Golden Catrame, la compianta etichetta per la quale lavoravo prima di trasferirmi, mi sta tornando utile non solo per le proposte che vado imperterrito facendo ma soprattutto per le occasioni di amicizia e fratellanza che ci sono ogni qualvolta vado a vedere un concerto anche a centinaia di chilometri di distanza da casa. Il potere della musica di cui sopra.

– Una domanda che non abbiamo mai fatto ancora a nessuno, ma a che fare a te viene naturale: la speranza è l’ultima a morire? finche dura fa verdura? dura che? BOhhh anche qui vai libero sul sociale…

Non sapevo che farmi queste domande venisse spontaneo ma visto che ci siamo rispondo più che volentieri: “L’inganno si annida dove matura la speranza” cantiamo con i Gurkha. Ma già in tempi non sospetti occorre ricordare come Biante da Priene, uno dei sette sapienti dell’antica Grecia, scrivesse nel frontone del tempio dell’oracolo di Delfi: Hoi plêistoi kakói, “la maggioranza è cattiva”! A quanto pare si tratta di un problema atavico e sicuramente una società di massa come quella nella quale viviamo, non può far altro che peggiorare le cose. Purtroppo credo che l’umanità riesca a invertire le sue malsane tendenze soltanto quando arrivi a toccare davvero il fondo (senza dimenticare che si può sempre scavare, ci ricorda il buon Rezza!). Guardo spesso con interesse a ciò che avviene oggi in Rojava ma senza dimenticare che i curdi, prima di arrivare a questo loro interessantissimo esperimento sociale, hanno dovuto affrontare decenni di violenza alla quale hanno risposto con una cruenta lotta armata. 

Tornando invece al nostro contesto, dove la violenza è quantomeno più sublimata, noto come le persone tendano a incattivirsi sempre di più ma ho iniziato anche a pensare come spesso, dietro questo atteggiamento di totale chiusura, si annidi un profondo senso di tristezza e insoddisfazione. Del resto come potrebbe essere diversamente in una società dove l’individuo non conta praticamente un cazzo e non ha pressoché alcun controllo sulla propria vita! 

Il mio potrebbe sembrare un discorso totalmente pessimista ma personalmente non lo sono più di tanto. Mi reputo una persona troppo incline ai piaceri della vita per cedere al patetismo più assoluto: come trovo profondamente inutile e illusorio esaltarsi per un nonnulla, credo anche che assumere un atteggiamento completamente tragico di fronte alle storture della vita (che sempre ci

sono state e probabilmente sempre ci saranno) lo sia altrettanto. Il mondo lì fuori rimane qualcosa di più grande e complesso delle nostre misere testoline e credo bisogni imparare a individuare quegli interstizi e quelle crepe che lo compongono e che aspettano soltanto di essere occupate dalle nostre idee. Nella storia non sono mancati momenti in cui la gente ha operato un cambio di paradigma nel proprio modo di vivere e di pensare. Tasselli evolutivi che, seppur piccoli, sono arrivati fino a noi. Potremmo fare l’esempio del Rinascimento volendo ma ognuno può vederci quello che vuole. Periodi dove vi sono state delle vere e proprie rivoluzioni culturali prima che politiche in senso stretto. Per questo credo si debba partire sempre dal basso e dal nostro ambiente, aprendosi e cercando di instaurare canali di dialogo con le persone che ci circondano. Cosa difficilissima da fare dopo anni di televisione e social media.

Il minimo sindacale che posso fare, adesso che ad esempio lavoro con ragazze e ragazzi in condizioni di partenza svantaggiate (così li definiscono i parametri che a quanto pare non tengono conto del potenziale non convenzionale insito in ogni persona), è quello di cercare di trasmettere quelle idee che ho coltivato in anni di punk-rock e DIY: dedicarsi a una passione mettendoci il cuore, passare il proprio tempo libero in maniera creativa oltre che a consumare, farsi delle idee con la propria testa e cercare di esprimerle, coltivare uno spirito di supporto e coesione… Tutto questo fa parte del mio bagaglio (contro)culturale ed è proprio così che avverto un senso di continuità con ciò che ho fatto ieri e ciò che faccio oggi. 

– Progetti per il futuro?

Musicalmente parlando ho già pronte delle nuove canzoni sempre sullo stesso solco delle precedenti. Cercherò di inciderle entro quest’anno per archiviare un po’ questo percorso. Da un lato infatti voglio riprendere il discorso interrotto col basso solista, magari mischiandolo alle nuove sperimentazioni al computer sviluppate con l’ultimo disco. 

Dall’altro mi piacerebbe studiare un po’ la canzone tradizionale catanese (genere pressoché scomparso, molto simile al fado portoghese), ovviamente contaminandola con il mio retroterra musicale e seguire lo spunto datomi da Iachino ‘e tri canceddi: dare un po’ di spazio nella mia musica a tutte quelle storie di vita vissuta che in un qualche modo mi hanno colpito ed affascinato. 

Non ultimo mi piacerebbe ricominciare a suonare il basso in nuove band e creare qualcosa di ancora del tutto inaspettato!

– Chiusura come sempre marzulliana… fatti una domanda e datti una risposta.

Il successo logora chi non ce l’ha?

Se arriva da morti non può certo impedire il naturale decadimento delle nostre carni! Ad ogni modo non riesco a soffrire tutta la smania – tipica dei nostri tempi – di sentirsi fighi e creativi solo per appagare il proprio narcisismo e ingrassare le tasche di quei 4 stronzi che speculano sul nostro tempo libero!

Ho dichiarato già la mia passione verso forme d’arte perlopiù anonime o prodotte da individui di cui sappiamo poco o nulla ma che ci hanno restituito splendidi spaccati di vita che sarebbero irrimediabilmente andati persi. Il pensiero va agli afroamericani che dal Delta del Mississippi hanno posto le basi di tutta la musica contemporanea. Oppure a quegli artisti che hanno attraversato i margini della società e spesso lì sono rimasti come Roky Erickson, Syd Barret, Daniel Johnston… tanto per fare qualche esempio. Sono perciò contento di far parte della schiera di persone comuni che continuano a produrre beni materiali o meno apparentemente privi di qualsiasi utilità sociale. Non vado cercando il successo ma qualcosa da raccontare a quelle orecchie che vorranno cogliere il messaggio. Anche se dovessero essere soltanto perle ai porci!

ascolta MULUNI:

https://goldencatrame1.bandcamp.com/album/mi-vida-es-un-pollo-fritto 

https://musichette.bandcamp.com/album/il-secondo-tragico-muluni

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