– Ciao noi ci conosciamo ma chi legge no. Chi sei?
Ciao, Luca: innanzitutto, ti ringrazio per l’intervista e per tutto quello che fai per la musica sotterranea. Sono un cantautore (termine vago, lo so, ma quello è) originario di Bari espiantato da qualche anno a Milano. Abitualmente, faccio una sorta di country/punk avariato, ma diciamo che sono artisticamente volubile: ho fatto anche un album di musica da camera/doom per pianoforte (!). Sono da sempre un fiero sostenitore dell’underground musicale e mi pregio di pubblicare di tanto in tanto piccoli tesori di roba weird che deraglia dai binari del business discografico.
– Cosa fai?
Beh, per quel che riguarda l’alexander de large musicista, registro principalmente canzoni (la forma canzone è una roba che uno, se ce l’ha nel DNA, pare non possa farne a meno), solitamente con un piglio vagamente lo-fi e diy. Per quel che riguarda l’alexander de large “discografico” (termine che aborro), pubblico in free download+microedizioni fisiche la mia roba e quella di altri progetti che ritengo rientrino nelle linee guida non scritte della mia etichetta, la Leper Without A Cause. In pratica, faccio più o meno quello che fai tu, certo con qualche inevitabile differenza.
– Raccontatemi un po’ la storia di Leper Without A Cause, quando hai iniziato, perché, come ecc ecc. Vai a ruota libera su tutto.
Dunque… domanda semplice, ma dalla risposta complessa. Iniziamo dal principio: nel 2003, sono stato tra i fondatori della Lepers Produtcions, una delle prime netlabel del mondo dedite, in senso lato, al pop/rock (ricorderai che all’epoca il free download era una roba utilizzata praticamente solo nel mondo della techno). Dopo che gli eventi della vita e la mia incapacità cronica nel gestirli mi hanno fatto allontanare dai miei vecchi “soci” e dopo essermi preso una pausa di qualche anno, nel 2017 ho deciso di riprendere la strada (e come al solito, quella sbagliata, eh!) della divulgazione di prodotti musicali per me meritevoli di attenzione, quindi ho ideato la Leper Without A Cause. Apro una parentesi: ho voluto mantenere l’immagine del lebbroso proprio per rendere chiaro (o forse per confondere le acque) ci fosse una sorta di continuità con quello che facevo con la vecchia etichetta. Inizialmente, ho pubblicato roba mia: la cassetta di una band che avevo a Bari qualche anno prima, gli A Kind Of Pigeon, e un EP su vinile a nome alexander de large philharmonic orchestra (che poi eravamo io e Paolino Il Malvagio, bassista di Santa Ninfa, TP, cittadina in cui ho vissuto per circa sei anni).
Dopodiché, ho ideato Autospurghi, una compilation in due volumi, poi pubblicati in vinile, in cui ogni band (e ce ne sono sessanta per disco, quindi centoventi in totale!) ha contribuito con un minuto di musica e un sessantesimo delle spese necessarie alla stampa, rendendola di fatto una sorta di 60-ways split che rappresenta una vera e propria polaroid dell’underground italiano. Dopo un’altra compilation di roba “registrata col culo” (nella quale hai partecipato anche tu – Don’t Mix This Mixtape!), ho iniziato anche a pubblicare lavori di altri artisti/band che, per un motivo o per l’altro, trovo affini alle mie corde. Li cito tutti per dovere di cronaca e, perché no, anche per sentirmi fico: Anuseye, Maybe I’m…, Fighting About Nervs, SNT, Danny Cohen, Big Chef, Dana Is Gone, RLLRBLL, Un Giorno Disperato, Amy Denio, Cause For Effect, Ireful, I-tschum + Gin, Santabinder.
– Che stai facendo adesso?
Ho appena pubblicato online un mio disco di tributo a Lou Reed, nel quale reinterpreto alla mia maniera alcuni dei suoi pezzi cui sono maggiormente legato. A brevissimo, ne farò una cassetta in edizione ultra-limitata (una ventina di copie o giù di lì). Altre prossime pubblicazioni: una raccolta di rarità della mia vecchia band, Texans From Bari, e una collaborazione tra i Santamuerte e Claudio Palumbo (quest’ultima co-prodotta da Musichette Records e dagli stessi musicisti). Anche di queste sarà disponibile qualche cassetta.
– Che pensi della situazione dell’underground italiano, esiste ancora? C’è speranza futura?
Qua tocchiamo un tasto un po’ dolente: io sono dell’avviso che sebbene l’underground non morirà mai, visto che ci sarà sempre qualcuno pronto a dire la sua nella maniera che preferisce, la mancata coesione di una scena (non a caso, di solito la chiamo la non-scena) underground rende il tutto più difficile. Nel senso che, imbrigliati in un sistema globale che non dà spazi e possibilità, in molti si defilano dai percorsi artistico-musicali per ovvie ragioni economiche e sociali. Questo crea un presupposto pericoloso: le cose più ricercate e particolari, non avendo (come d’altronde è normale che sia) la possibilità di avere chissà quale seguito, continuano a brancolare nel buio. In questi casi, l’apporto dei fedelissimi è di fondamentale importanza ma, vuoi per l’eccessiva offerta odierna, per il disinteresse generalizzato nei confronti della musica o per il fatto che ormai tutti o quasi siamo anestetizzati dai vari facebook, spotify, netflix, ecc., viene sempre meno. Certo, si può benissimo suonare nel tempo libero, in molti lo fanno e non c’è nessuna controindicazione diretta. Il rischio, però, che così in molti non abbiano modo di “studiare”, farà sì che la loro produzione rimarrà a un livello “amatoriale”, e intendo il termine con la sua accezione negativa – niente da dire su una roba che i più definiscono amatoriale ma in cui la ciccia c’è! Insomma, tornando alla tua domanda se c’è o non c’è speranza… onestamente, la vedo sempre più nera.

– Che tipo di formati prediligi per far uscire i dischi con l’etichetta e il motivo?
In una sola parola: cassette. Le cassette sono esteticamente ganzissime, ti danno quel che di effetto nostalgia, puoi farci delle micro-release (a differenza di vinili e cd glass master), hanno quel fruscio che è una delle cose più fiche dell’universo, ecc… Ovviamente, non disdegno fare uscite in altri formati fisici, come le cose che ho già menzionato su vinile. Ah, ho anche fatto un lathe cut da 5” per il mio progetto The Poors, in cui suono, seppur con un oceano di distanza, con il mitologico Mike Watt.

– Cosa vuoi?
Niente.
– Programmi e progetti per il 2022
Ne ho già accennato prima. Oltre alle cassettine di cui ho parlato, ne farò sicuramente altre ma, al momento, non so ancora manco io che cazzo farò. Sinceramente, spero che usciamo presto da ‘sta merda di situazione pandemica per suonare un po’ di più dal vivo, visto che è la migliore occasione per farsi ascoltare e spargere in giro un po’ di merda sotto forma di cassetta…
– Fatti una domanda e datti una risposta.
Si può fare qualcosa per questo mal di schiena? Non lo so.
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