NUMBER 71 MONOBANDA
Oggi farà molto caldo! C’ho il sole di fronte!
di Tab_ularasa e Giulia Vallicelli
C’è solo un uomo che incarna veramente lo spirito del punk e il rock’n’roll nel 2017 e il suo nome è Massimino, meglio conosciuto come Number 71 Monobanda from Napoli. La prima volta che ci siamo conosciuti, abbiamo rischiato di picchiarci, ma in realtà è stato solo un modo per annusarsi, diventare a fine serata amici per la pelle e con gli anni fratelli. Massimino ha suonato e suona in tanti gruppi, attualmente è batterrista nei Female Troubles e nei Barsexuals, chitarra e batteria nei Duodenum e one man band nel suo progetto solista Number 71 Monobanda. Di seguito l’introduzione e la trascrizione dell’intervista ripresa qualche anno fa da Buzz Buzz Video Zine. (Tab_ularasa)
La sesta uscita di Buzz Buzz Video Zine è un’intervista speciale a Number 71 Monobanda nel suo garage partenopeo, realizzata prima di cominciare questa fanzine, con la vaga idea di un documentario sulla one man band italiana più conosciuta nel mondo rock’n’roll. C’è chi è arrivato a definirlo “il GG Allin con la pastiera in mano”, ma la fama e la leggenda di Number 71 vanno molto oltre l’ombra del Vesuvio (e l’autolesionismo confuso del povero Giggì). Il suo nome rimanda all’Ommo ‘e Merda della smorfia napoletana e proprio a Napoli ha cominciato a picchiare le pelli con gli Sbirros a metà degli anni Novanta. È stato il punk a portarlo in trasferta su più continenti, suonando con i Female Troubles, con cui ha girato gli Stati Uniti. La meta più lontana l’ha però raggiunta da one man band, in tour sudamericano con Mr. Occhio. Nel corso degli anni zero, c’è chi lo ha conosciuto carico di vinili, grazie ai suoi dj set come Stupid Robot, e chi lo ha visto apparire in maniche di t-shirt nelle cantine più improbabili d’Europa, per sentire dal vivo gruppi garage punk a qualsiasi latitudine e condizione climatica. A proposito di magliette, il suo motto GRAPPA GRAPPA HEY, stampato nero su bianco, è indossato solo da persone a modo. Nel 2006 debutta come Number 71 Monobanda al culmine del fermento rock’n’roll a Roma, dove poco dopo si trasferisce. Nella capitale comincia anche a suonare in forma di duo blues punk con i Duodenum, in cui urla e suona chitarra e grancassa alla sua maniera. In qualsiasi gruppo si trovi, i suoi show sono sudore, blues primordiale e piatti della batteria suonati con la testa: nel bene o nel male è difficile dimenticarli. (Giulia Vallicelli)
Qual’è la storia della tua vita?
La mia è una vita quasi da nerd, ma ti racconto le cose più belle. Quando sono nato, stavo cascando dalla pancia della mia mamma e mio padre mi ha preso al volo, quindi stavo già cercando di morire. Fino in quinta elementare ero un bambino con gli occhiali giganti, più grandi della mia testa. All’inizio andavo molto bene a scuola, non si sa perché, poi alle medie ho scoperto che la scuola era un passatempo buono la mattina per andare a dormire, prendere a pugni i compagni, essere sospeso una volta a settimana, queste cose qui. La mia prima sospensione è stata la più bella, perché fui cacciato dalla classe, poi di nascosto mi sono preso il flauto. C’erano altri tre ragazzi che erano stati cacciati dalla classe anche loro: sono rientrati in classe, si sono presi il flauto e abbiamo suonato per tutta la scuola. Mi ha segnato in particolar modo un episodio in prima elementare: c’era una bambina che ce l’aveva con me, gli piacevo, mi scocciava. A un certo punto nella furia totale ho preso una penna e glie l’ho conficcata nella mano. Da quel giorno in poi, fino all’ultimo anno del liceo ho sempre voluto sedere da solo nel banco, tranne l’ultimo anno che c’era un ragazzo che mi ha aiutato a superare la maturità.
Verso 15-16 anni ho scoperto che c’era un’altro ragazzo, Massimiliano al quale piaceva ascoltare la musica rock’n’roll, il punk e queste cose. Mi sono comprato una batteria, non sapevo nemmeno tenere un tempo, ma ho fatto un gruppo in due con lui e il fratello, che si è aggiunto dopo. Ci chiamavamo i Marruà?, marijuana in napoletano. Dopo poco tempo si è scoperto che con questo nome non si poteva andare a suonare da nessuna parte, perché ci prendevano per tossici, quindi abbiamo cambiato nome in Sbirros e dal 1998/99 abbiamo iniziato a suonare in giro, fino al 2004. Nel frattempo mi viene l’idea di suonare come one man band e nasce così Number 71. Contemporaneamente insieme a un ragazzo di Prato, Sergio dei Mutzi Mambo si forma un duo, i Molestones, con il quale facemmo pochi concerti, alcuni molti belli e altri molto brutti. Con gli Sbirros eravamo agli sgoccioli e facemmo l’ultimo concerto storico al CPA di Firenze, in cui fui gentilmente bandito perché mi spaccai la testa: spruzzavo sangue in faccia alla gente, non ho ancora capito perché mi hanno buttato fuori. C’è stata anche una piccola parentesi con un gruppo sardo, ci chiamavamo i Feldmarschall?. Con loro abbiamo fatto un concerto all’Animal House di Sassari e anche quella sera siamo stati banditi dalla città. Non so perché, quando suono io in un posto, mi bandiscono sempre. Dopo poco sono nati i Female Troubles, sempre con Massimiliano e un nuovo amico, Nicola. Siamo andati negli Stati Uniti, buttando molti soldi come solito accade quando si va in America: ancora non ho capito tutta questa gioia che hanno i gruppi di andare là.
L’anno dopo con Mr.Occhio, un grande amico one man band di Pinerolo, siamo andati in Brasile, e anche lì è stato molto bello perché si è rischiato di morire un sacco di volte: è stato molto divertente. Eravamo a San Paolo, dopo un concerto in uno squat e alle 8 di mattina siamo andati nel peggior bar della città. Il bar raccoglieva questi ragazzi ventenni-diciottenni, che facevano parte di una gang che si chiamava La Devastacao Punk?. Uno di questi qua mi stuzzica, mi dà fastidio, io lo prendo e lo sbatto a terra, mi sono trovato tipo venti persone con il coltello in mano che mi volevano ammazzare. I miei amici brasiliani cercano di tranquillizzare la situazione e a un certo punto uno di loro dice che l’unica cosa buona degli italiani sono i Klasse Kriminale. Mr.Occhio astutamente dice che lui è il chitarrista dei Klasse Kriminale: da persone da ammazzare siamo diventati subito gli idoli di questa gioventù bruciata e hanno iniziato a offrici da bere. Questa è la volta che ho rischiato di più la morte.
Nel frattempo con i Female Troubles abbiamo continuato a suonare, cambiando il bassista: adesso è entrato un nostro grande amico Flavio. Coi Molestones facemmo l’ultimo concerto a Lucera, dove non riuscivo più a suonare, pensavo solo a tenere in piedi i pezzi della batteria, una cosa devastante. Io mi sono divertito molto, Sergio si è divertito pochissimo, anzi si è incazzato pure e il giorno dopo mi ha detto di non voler più suonare con me. Nel frattempo mi trasferisco a Roma, una bellissima città, molto più bella di Napoli, stupenda: trasferirmi lì era il mio sogno. A Siena conosco Luca Tanzini, un ragazzo del Valdarno, di Cavriglia per essere preciso. Il primo incontro con lui è stato un litigio da ubriachi. Dicevamo la stessa cosa, ma capivamo le cose opposte e alla fine del concerto eravamo così contenti che ci eravamo dimenticati tutto. Nasce questa grandissima amicizia con Luca e neanche il tempo che si trasferisce anche lui a Roma, un anno dopo, che dopo una settimana già avevamo fatto il gruppo. Io penso che sia il gruppo del secolo, i Duodenum. Neanche tre o quattro mesi e siamo andati a fare un tour in Francia, che definire rocambolesco è un eufemismo.
Invece quest’idea della one man band come ti è venuta?
Mi è venuta che a un certo punto mi andava di fare una cosa che volevo fare solo io. Tra l’altro non sapevo assolutamente suonare la chitarra. C’è una mia amica che mi ha fatto suonare il primo concerto a Roma al Traffic di spalla a Clorox Girls e gli Out with The Bang! Era il 2006, non avevo mai fatto un concerto da solo e avevo preparato giusto tre pezzi. Il secondo concerto è stato al Don Chisciotte in Valdarno. Il mio primo concerto a Napoli secondo me è stato il settimo o l’ottavo: è stato più facile suonare “all’estero”, fuori dalla Campania, che li. Forse perché me mi paragonavano a Totò quando suonava la grancassa: non se l’aspettavano che ci fosse una one man band oltre lui e Edoardo Bennato. Il primo one man band al sud è stato Gene Crazed di Foggia, vedendolo suonare dal vivo mi ha dato l’idea: se riusciva a suonare lui da one man band, ce la potevo fare anche io.
Cosa ti ha ispirato?
Sentire pezzi come quelli di Hasil Adkins o di Bob Log III o di King Automatic. All’inizio pensavo «Magari riesco ad arrivare come King Automatic» poi vedendo le sue ultime esibizioni ho pensato che King Automatic è inarrivabile. Forse posso riuscire ad arrivare a Hasil Adkins, a cui sono più vicino tecnicamente. A un certo punto c’è stata un’esplosione di one man band, come se fosse un esplosione di acne giovanile. Il fenomeno è scoppiato soprattutto in sud America e in Europa. C’è un video che racconta tutte queste storie e si chiama Cowpunx From Hell che ha fatto ai tempi Wasted Pido.
Cosa puoi fare come one man band che riesci a fare in un gruppo?
Nella one man band ti prendi la chitarra e il tuo set da batteria, non devi chiedere nulla a nessuno. Questo può essere un vantaggio, ma allo stesso tempo uno svantaggio, perché in un gruppo ci sono più persone che hanno idee con cui confrontarsi. Nella one man band può capitare mentre suoni di sbagliare e di fare un errore, ma basta uno sketch che la gente la prende come una cosa divertente. Invece se suoni in un gruppo, quando sbagli con la batteria si capisce molto facilmente che hai fatto una cazzata. Quando fai la one man band ti senti più sicuro delle tue cose: magari puoi avere più ansia, ma l’ansia può darti anche quello stimolo in più per fare le cose meglio. Devi essere molto convinto delle tue capacità e di quello che fai, altrimenti non puoi fare la one man band.
L’approccio quando suono in un gruppo o da solo è lo stesso: durante il concerto è come se mi isolassi, non riesco a vedere al di la del palco. Certo, sento la gente che si esalta, però sono dentro una sorta di stato catatonico: non riesco a capire quello che mi succede intorno. Lo stimolo non me lo dà il pubblico, me lo faccio venire da solo e cerco sempre di dare il massimo, al di là che poi esca fuori un brutto o grande concerto.
Pensi che continuerai a suonare come one man band?
Non potrò mai sciogliere il gruppo che è me stesso, non potrò mai cacciare i miei piedi e le mie mani e la mia voce. Posso anche fermarmi per un periodo, ma la one man band non si può smettere. Ho iniziato con la batteria nel 1996: magari prima o poi come per Blind Willie Johnson qualcuno manderà nello spazio una mia canzone, in una sonda della NASA, per far scoprire agli alieni la musica di Number 71 Monobanda.
Che canzone meterresti nella sonda spaziale?
Ah, Do you know the grape!
Intervista registrata per Buzz Buzz Video Zine #6, febbraio 2014 http://www.vimeo.com/buzzbuzzvideozine
DISCOGRAFIA NUMBER 71
– thee Dements / number 71 monobanda – split tape (2010 – Bubca Records)
– number 71 monobanda – Do You Know The Grape CDR (2010 – Bubca Records)