Ciao Beppe, raccontaci un pò di te…
Non mi chiamo Capinch. Facevo una fanzine con quel nome e la gente ha cominciato a chiamarmi così, e adesso anch’io mi riconosco sotto quella ragione sociale. Ho una moglie, due figli piccoli che mi chiamano Beppe Capinch e ancora nessun animale domestico da accudire.
Che fai nella vita ?
Procacciatore di anime pie da convertire a satana.
Quali sono i tuoi interessi e le tue passioni ?
Ho qualche macchina fotografica, qualche strumento musicale e molti dischi.
Cosa ti ha portato ad aprire un’etichetta discografica ?
Penso che nel 99% dei casi chi fa una fanzine a un certo punto ambisca ad avere una parte più attiva nella scena che presume di raccontare, e noi non abbiamo rappresentato l’eccezione a questa regola.
Per quanto tempo è esistita la Shake Your Ass records ?
Sette anni circa, dal 2002 al 2009.
Puoi raccontarci la sua sua storia ?
La SYA eravamo (e siamo) io e Barbara, mia moglie. Lei mi dava anche una mano quando facevo Capinch. Dopo l’intervista con gli Sleepwalkers, devastante combo sixties punk di Cagliari, rimanemmo in contatto con il loro singer Paolo, il quale ci mandò una tape sgangherata per farci ascoltare quello che stava combinando in garage con due nuovi pischelli (e il bassista degli ormai sciolti Sleepwalkers). Una cassetta incendiaria che ci frastornò. Era forse la prima registrazione mai fatta dai Rippers. Ci piacemmo, ci amammo e ci accoppiammo per un fortunato esordio per entrambi. Tutto il resto venne da sé: 25 uscite tra cui 22 sette pollici, un paio di album e un 12″. E anche un altro sette pollici su una label spin-off, la Menotropic Records, nata e morta proprio con quell’uscita (Contaminators).
La vostra collocazione geografica ?
Gorgonzola, Gran Milan. Adesso viviamo in Romagna, nella placida e imperturbabile Cesenatico. Siamo però pugliesi, ci nutriamo prettamente di orecchiette e vino di gradazione hc.
Da quanto ne so hai chiuso i battenti un po’ di anni fa. Puoi spiegarci perché ? E’ una scelta definitiva ?
No, non vogliamo considerarla una scelta definitiva. Non so quando e come ma vogliamo ridarle vita.
Abbiamo fermato le macchine nel momento in cui ci sono nati i figli. Due e contemporaneamente, non so se mi spiego. Gestire una label è gia abbastanza delirante di per sé…
Che tipo di musica ha amato e prodotto la SYA ?
La SYA non si poneva fondamentalmente un indirizzo estetico, e la varietà di generi proposta lo dimostra ampiamente. Abbiamo buttato fuori garage, blues, folk, pop, punk… Tu mandavi un demo e se ci faceva muovere il culo ti contattavamo noi e ti facevamo firmare per Papa Legba al crocicchio.
Le tue produzioni sono credo da sempre quasi esclusivamente in vinile. Puoi spiegarci il perché di questa scelta ?
All’inizio facemmo anche delle cassette, ma non sono propriamente da considerare produzioni SYA. Diciamo delle prove di quello che poi si conclamò subito dopo. Si tratta di cassette registrate con un 4-tracce dal vivo dei Rippers, Homoplastik, Titty Twisters Orchestra, Killer Klown, Ray Daytona & Go-Go Bombos e forse qualche altro titolo che ho rimosso. Poi venne la label e i dischi, in vinile perché è fisiologico fare singoli di garagepunk in quel formato. Inoltre siamo portatori sani di feticismo e quell’oggetto di plastica nera ha una sua intrinseca e notevole componente sexy.
Come sceglievi i gruppi da far uscire ?
Principalmente dai demo che ci inviavano. La maggior parte dei dischi ha avuto questo inizio. Ad altri eravamo noi a chiedere di mandarci materiale con cui lavorare a un’uscita. I Black Lips invece li registrammo (lo fecero Matt e Dave dei Mojomatics) al Jam di Mestre durante un gig memorabile.
Come funzionava il processo di produzione ? Quante copie facevi per ogni uscita ?
Come ti dicevo prima si partiva da un demo. Se c’era da pulire, equalizzare, tagliare qualcosa lo si faceva, quindi si passava al master di stampa, lavoro che si faceva all’Elettroformati di Milano, e da lì si portava in pressing plant, esattamente alla Phonopress di Caleppio di Settala (sempre Milano). Le copertine invece le facevamo inizialmente in una tipografia di Trezzo Sull’Adda e poi ci affidammo alla stessa Phonopress visto che si erano attrezzati per farlo. Anzi, mi risulta che quelle persone alla fine hanno tenuto la tipografia e abbandonato la stampa dei vinili.
Seguivo personalmente ogni fase della produzione, cazzeggiavo coi tecnici che facevano il master, andavo in SIAE a farmi fare quei merdosi bollini, sceglievo con gli operai delle presse le tonalità di colore che volevo per certi dischi. Caricavo e scaricavo cartoni. Diverse volte ho anche dovuto fare l’artwork per le copertine dei dischi. E infine mi sbattevo per promuovere e distribuire. Barbara dirigeva i lavori. Eravamo come una piccola bottega. Puro artigianato garagepunk. Le tirature andavano dalle 300 alle 500/600 copie circa a titolo.
Quanto ti costava in termini tempo ed economia una produzione ?
In termini di tempo di tempo era un coinvolgimento totale. Si viveva pensando e respirando dischi, quelli che avevi fatto, che stavi facendo al momento e quelli che progettavi di fare. Questo in qualche maniera portava pure stress ma devo dire che erano bei tempi. Non c’era giorno che il postino non infilasse nella cassetta delle lettere un involucro contenente un cd o una cassetta di qualche sgangherata e disperata band. Adesso ci trovo solo bollette.
Economicamente rappresentava un impegno perché non eravamo e non siamo ricchi e benché riuscivamo a tenere bassi i costi di produzione dovevamo comunque fare i conti con tutto quello che c’era a corollario di ogni uscita. Chi ci conosce bene, tutti quelli che venivano a trovarci ben ricorderanno le due camere in cui vivevamo, intasate di cartoni di dischi. C’era sempre posto e pasta per tutti.
A quali altre etichette ti sentivi particolarmente vicino e affine sia italiane che straniere ?
Nel nostro infinitamente piccolo ci siamo sempre ispirati alla Bomp! e al suo fondatore Greg Shaw, soprattutto alla sua lezione sull’importanza delle etichette indipendenti (e le fanzines), alla loro libertà, e di quanto rappresentino vera e propria linfa vitale per l’industria e la storia del RnR tout-court.
C’è un disco che hai fatto uscire al quale ti senti particolarmente legato ?
A tutti indifferentemente, anche a quelli che mi hanno fatto incazzare in qualche modo e che con il senno di poi penso non avrei fatto, o comunque con altre modalità. Ma se proprio devo tirare fuori un paio di titoli, devo dire che le preferenze vanno al suddetto esordio dei Rippers per tutto quello che ha messo in moto, anche umanamente, e poi c’è l’album di Possessed by Paul James. Non avrei mai pensato di poter far uscire un disco di quella levatura poetica, di prendere parte ad un cammino del genere. Konrad Wert è un poeta vero, uno di quelli che pietrifica nani e ballerine quando canta ed io mi onoro di essergli amico e fratello.
Hai qualche aneddoto particolare da raccontare legato a qualche produzione ?
Ce ne sono tanti, succedeva sempre qualcosa, ad ogni uscita. Per esempio, i Brimstone Howl si fecero spedire i dischi ad un indirizzo di fantasia per farsi uno scherzo o cosa, con il risultato che quel pacco fece ritorno in Italia dopo quasi un anno quando ormai lo avevamo cancellato dalle nostre aspettative di vita assieme a tutte le bestemmie tirate al tempo.
Oppure quando lavorammo alla copertina del primo dei Mojomatics, non sapevamo assolutamente che già i Detroit Cobras avevano avuto la nostra stessa idea, per la copertina del 7″ Village Of Love su Human Fly rds, e quindi quel disco uscì con quell’artwork che neanche se avessimo voluto avrebbe potuto essere così uguale.
Con Barbara litigavamo duramente ad ogni artwork che facevamo. Era quasi un rito propiziatorio. Se questo non avveniva ci preoccupavamo sulla riuscita del disco.
E poi i tour, le macchine rotte, le amicizie nate, gli scazzi, le tante curiosità…
Riuscivi a smistare e “vendere” tutte le copie che facevi ? Riuscivi ad andarci in pari ?
Si, andavano via. Alcuni anche molto velocemente. Abbiamo sempre realizzato i dischi con gli introiti delle uscite precedenti. Ci furono giusto un paio di uscite in cui questo meccanismo non ha funzionato, e purtroppo devo dire che si tratta di due ottime uscite, ma questo avvenne perché i Chili Cold Blood rinunciarono all’ultimo momento a venire in tour in Europa per promuovere il disco, e li aspettavano ovunque, mentre i Kazalok che ci dicevano che erano uniti e saldi, all’uscita del disco erano già belli che sciolti e divisi tra Boston Chinks, Barbaras, Girls Of The Graviton e Jay Reatard Band.
Se non ti fai vedere in giro la gente perde interesse, soprattutto se sei una nuova band. Peccato perché erano uscite veramente valide.
Chi “comprava” la musica della SYA ?
Me lo sono sempre domandato anch’io. I pacchi partivano per tutte le parti del mondo, anche zone impervie. Di fatto vendevamo la maggior parte delle produzioni all’estero e la superiore popolazione Germanica rappresentava il bacino di utenza preponderante.
Cosa ne pensi della realtà italiana di adesso e di quando eri in attività … etichette, gruppi, giornali insomma del mondo della musica indipendente italiana ?
Gli italiani comperano pochi dischi, millantano come pochi ma poi fanno ben poco per tenere viva una scena in casa propria. L’underground garage italico è una nicchia nella nicchia, o almeno era così quando c’eravamo noi in piazza. Meno male che le richieste dall’estero fioccavano e ci tenevano in vita altrimenti avremmo chiuso da un pezzo. Sui magazine ufficiali più o meno rock e più o meno underground alternativi preferisco stendere il fatidico velo pietoso. C’è comunque sempre un buon nugolo di teste dure che si sbatte, penso ad esempio alla Goodbye Boozy rds e tutto il cucuzzaro teramano, oppure al mio amico Franz Barcella (Wild Honey rds, Otis Tour, Miss Chain & The Broken Heels e tanto altro), o ancora tutto il giro Cantina del Rock, quindi voi di Black Milk, e altri ancora. Ma è sempre una cosa circoscritta a pochi intimi. Basta andare oltralpe per accorgerti che le cose stanno differentemente. Basta domandarsi perché ci sono così tante label in Germania, e neanche tanto piccole, e come mai tutti quei mailorder e distributori. I crucchi comperano dischi e supportano il giro. Naturalmente parlo di garage, RnR, punk e rumorismi affini.
Generalizzando devo dire che ciò che c’è in giro adesso (a parte un po’ la frizzante scena australiana) non mi esalta così come lo facevano i vari Oblivians, Gories, Reatards, Mummies, Chrome Cranks, Cheater Sliks, Blacktop, Jack ‘O Fire, Jackknife, Bassholes, 68 Comeback, Bob Log III… Ora mi pare tutto un giro hype post-duecoglioni o catartico-psychedelico. Dico questo anche perché sto inesorabilmente diventando vecchio e nostalgico e mal mi adatto al nuovo (che poi non lo è…)
Fatti una domanda e datti una risposta.
Ma dove andranno mai a dormire le anatre di Central Park durante l’inverno? Saranno pure cazzi loro, l’unica cosa che vorrei invece e che si portassero con loro anche tutti questi maledetti gabbiani scagazzari di Cesenatico… Grazie per averci riesumato, torneremo di nuovo a lanciarvi vinili come lame rotanti, stay tuned!
Black Milk Magazine, dicembre 2014