Un urlo di guerra pacifista, per nulla pacificato, sghembo ma diretto. Non ne troverete recensione su The Wire che pure ha (o aveva) uno spazio per cassette e cianfrusaglie socio-psico-situazioniste. Qui non è questione di hype ma di vita. Punto. Punto di domanda e punto esclamativo. Punto e basta (pasta). Ecco a voi, quindi, delle noccioline psicotiche, una delle poche cure omeopatiche per tempi malati, un disperato, gioioso impulso di vita. Un rombo scassato e cacacazzo più che un ruggito; un tuono dalle viscere della terra e della pancia che se non fa schifo, mette un po’ a disagio e fa paura a chi cerca la sua casa solida e sicura. Sappiamo che si tratta di una illusione. È finto e vero insieme, come tutto il punk e il garage primordiale squinternato, come un riff degli Stooges o una nota scappata da un film di Tarantino. Del resto pure le tette rifatte sono VERAMENTE finte, come il fottuto desiderio di casa e della strada, che ci fa essere sempre nel posto sbagliato. Per questa volta lasciamo perdere la mistica che imbeve le note e il sudore (nothing in my brain: più ascetico di così si muore), con tanto di conversione (go away) e figliol prodigo (I’m far from home). Per ora ci accontentiamo di una scanzonata danza macabra.
FESTER TARWATER